iniziative contro la guerra sul territorio

La sopraffazione, la violenza, la guerra genera in tutti noi un senso di forte stordimento che lacera il tessuto sociale e genera paura del futuro.

Eppure la ns società utilizza la forza come elemento di difesa del territorio, spesso per dirimere le questioni nazionali. Con la caduta del muro di Berlino l’Italia è stata coinvolta in azioni di aggressione di stati sovrani in Iraq, Yugoslavia, Afghanistan, Libia, senza il consenso delle Nazioni Unite ma dietro a improvvide e non coordinate azioni della Nato, che avrebbe dovuto dissolversi all’indomani della fine del Patto di Varsavia. Ha invece allargato la sua presenza, premendo su confini che dalla dissoluzione dell’URSS sono contesi e storicamente fragili.  

L’Occidente è sordo alle vicende politico/culturali di altre nazioni: impone la propria religione del nostro tempo e trascina dentro la standardizzazione culturale interi popoli con i suoi incontenibili strumenti di comunicazione, non preoccupandosi delle lacerazioni che crea.

Si nasconde la guerra di basso profilo che usa nei confronti dei migranti sia ai propri confini sia pagando stati terzi per contenere i flussi migratori. Le tragedie e i morti non si contano e la solidarietà è diventata una colpa.

In Occidente aumentano le disuguaglianze, il depauperamento dei territori e delle identità. Molti cittadini e tanti stranieri sono utili al servizio, che spesso è sinonimo di servitù, della classe borghese che sgocciola ciò che trabocca da portafogli ingrassati dallo sfruttamento.

I capitalismi globali in questo scenario si fanno la guerra sulla pelle delle persone e si dividono il mondo a seconda delle convenienze presenti o future. La guerra per l’energia irrompe nelle nostre quotidianetà e solleva tanti interrogativi sul nostro stile di vita e sull’utilizzo delle risorse future davanti alla minaccia climatica.

Il popolo che ha protestato contro le aggressioni in cui l’Occidente era attore protagonista – milioni contro la guerra in Iraq e Afghanistan, migliaia contro la guerra in Yugoslavia, invero pochi contro la guerra  in Libia -, oggi, non accetta la guerra aggressiva di Putin ma la condanna e, per quel che vale, chiede l’immediato ritiro delle truppe.

Contestualmente non si può che continuare a chiedere di uscire dalla NATO e di demilitarizzare tutti i territori a cominciare da quello italiano, portaerei dell’Alleanza.

Non si possono accettare posizioni che inneggiano all’escalation del conflitto come sta facendo l’Unione Europeo, per l’ennesima volta, senza un dibattito trasparente e soprattutto pubblico. L’Unione Europea avrebbe dovuto avere una impalcatura per la costruzione e diffusione della pace: è diventata invece attore egemonico nell’economia finanziaria di rapina.

Il luogo di confronto già è attivo e sono le Nazioni Unite. A questa assise deve essere restituita l’autorevolezza e il ruolo di coordinatore per dirimere le questioni delle nazioni e dei popoli. In questo caso riaprire le trattative e di spingere per la fine del conflitto e il ritiro delle truppe russe dal territorio ukraino.

Noi stessi, invece, senza attendere altro, da subito, possiamo attuare e lottare per un ripensamento dello stile di vita occidentale che riporti i termini di confronto con ¾ del pianeta in maniera più equilibrata e paritaria. Senza questo, senza un senso forte di giustizia sociale, tutti i periodi di pace saranno solo momenti, sempre più brevi, di nonguerra.

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