Giorno della memoria

I custodi della Memoria: elaborazione della memoria della Shoah tra seconda e terza generazione in Germania

Dalla tesi di Marta Mazzocchi per la Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea magistrale in Scienze Linguistiche, Letterarie e della Traduzione, Università di Roma La Sapienzare e Filosofia

Dall’introduzione della tesi:

La memoria e l’identità sono due concetti strettamente collegati, non vi è l’una senza l’altra. Si fondono per produrre una vita, una storia, un racconto. La memoria ci plasma e a nostra volta la modelliamo e, in questo modo, siamo in grado di costruire la nostra identità e riappropriarci del passato. Una perdita di memoria corrisponde alla perdita d’identità: la coscienza di sé diventa così impossibile. Per ovviare a tale perdita è fondamentale la trasmissione (e ricezione) della memoria. Dalle incisioni preistoriche alla scrittura contemporanea, l’uomo ha sempre sentito il bisogno di lasciare delle tracce ai posteri. La scrittura si è infatti dimostrata uno dei più potenti mezzi d’ausilio per la conservazione e trasmissione della memoria.

Tracciare la genealogia e la storia della propria famiglia è un requisito fondamentale per la trasmissione della memoria. La ricerca del sé parte sempre dalla memoria familiare, la quale consente la riappropriazione del proprio passato, in modo tale da poter elaborare e narrare la propria storia, che sarà poi confermata e confrontata con quella degli altri membri della famiglia. La memoria generazionale è quindi il background senza il quale risulta impossibile parlare di trasmissione ed eredità.

La famiglia è quindi il punto di partenza: il trauma della Seconda Guerra Mondiale viene trasmesso dai genitori ai figli, dai nonni ai nipoti, di generazione in generazione. Per indagare a fondo il trauma è necessario scandagliare anche il passato della propria famiglia. Il trauma viene percepito come memoria, anche se non lo è propriamente, dato che la seconda generazione (e la terza ancora meno) non ha ricordi “vivi” di quanto è stato. Ma nonostante la sua passività, il trauma è reale e prende la forma di un passato e una storia opprimenti.

La memoria si rifiuta quindi di tacere. Bisogna soddisfare il dovere di memoria, altrimenti si è esposti alla scomparsa del sé e alla conseguente minaccia dell’oblio. Quest’ultimo rappresenta effettivamente un pericolo, ma senza di esso i ricordi non avrebbero valore. L’oblio può anche avere una funzione pratica, perché usato per censurare dei ricordi pericolosi, che vengono cancellati attraverso un’amnesia collettiva. Questo è quanto è avvenuto nella Germania del post 1945, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Si trattava di una società inizialmente immersa nel silenzio, incapace di affrontare il lascito del passato perché concentrata a ricostruire un paese distrutto. Si voleva andare avanti, dimenticando o addirittura sminuendo il genocidio e tutte le sue conseguenze. Non è però facile voltare le spalle al passato per potersi rifugiare nel presente poiché l’amnesia non è mai assoluta e i ricordi rilegati nell’ombra possono riemergere in qualsiasi momento, come vedremo accadere nello specifico verso gli anni ’60, anni in cui la memoria di ciò che è stato torna ad essere presente nei dibattiti pubblici e privati, anche grazie alla pressione della seconda generazione, in cerca di risposte.

Un evento altamente traumatico come una tragedia collettiva lascia nella psiche di un singolo o di una collettività un segno profondo e duraturo. L’identità storica si costruisce specialmente sulle tragedie collettive, come nel caso della comunità ebraica, che, in seguito al trauma di Auschwitz, ha ereditato una memoria distruttrice ma al contempo fondatrice. La Shoah è predominante per la costruzione dell’identità ebraica, poiché c’è stato il rifiuto dell’oblio. La tragedia implica quindi il dovere di memoria, ma che in questo caso è anche un diritto. Ma la memoria è entrata in crisi, poiché tra essa e la sua trasmissione si frappone un ostacolo, cioè l’indicibilità di quanto è avvenuto: è complicato trasmettere ciò che non si ha il coraggio di dire. Come testimoniano le famiglie ebraiche del dopoguerra, che subito dopo il conflitto anch’esse speravano di rifugiarsi nel presente e la seconda generazione è cresciuta non sapendo cosa i propri genitori avessero davvero sperimentato.

Gli effetti di un cataclisma come la Seconda Guerra Mondiale hanno segnato tutto il secondo Novecento e sono destinati a durare a lungo, possono essere osservati ancora oggi. L’iniziale negazione della memoria storica più immediata, attuata dalla generazione della guerra, ha intaccato quindi anche i discendenti; i figli degli internati sono portatori di una memoria dell’orrore e si sforzano di ricostruire una memoria familiare, per potersi sentire all’altezza dei sopravvissuti, così come anche i figli dei nazisti, eredi di memorie avvelenate e di un fardello troppo pesante, che manifestano un freddo rifiuto nei confronti dei loro stessi genitori. Per i membri della seconda generazione, ancora bloccati in un momento traumatico che non appartiene loro, il ricordo diventa un bisogno reale, affinché le loro identità non vengano completamente dissolte nel passato

Tali sensazioni e sentimenti sono divenuti tangibili nel momento in cui la seconda generazione ha avuto l’opportunità di scriverne. La maggior parte delle loro opere è infatti di natura autobiografica, anche se, per essere precisi, scrivono memorie che hanno in parte origine da memorie altrui, che non appartengono loro. Ma il tema portante dei testi della seconda e terza generazione rimane comunque la memoria; tema che viene trattato mettendo in primo piano l’incertezza del ricordo e la difficoltà del (ri)conoscere il passato.

Inizierò la mia tesi con un breve prospettiva storica sulla Germania, dagli anni dell’immediato dopoguerra fino alla caduta del Muro di Berlino,

per poi trattare nel dettaglio le modalità con le quali la società tedesca ha cercato di superare le difficoltà imposte da un passato troppo difficile da assimilare. Dopo averne descritto le principali dinamiche politico-sociali, analizzerò il fenomeno dal punto di vista letterario-culturale, introducendo così il tema fondante della tesi: la letteratura della memoria tra seconda e terza generazione. Prenderò come esempi pratici due autobiografie: l’opera Forse Esther, della scrittrice ebrea ucraino-tedesca Katja Petrowskaja e il romanzo Flut und Boden, dello scrittore e storico tedesco Per Leo.

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