L’ospedale del Capoluogo tra emergenza e rischio

“ L’ospedale del Capoluogo tra emergenza e rischio” – Sala teatro della ASL – Frosinone lunedì 11 giugno 2018 di Francesco Notarcola

TRACCIA PER UN’IPOTESI DI LAVORO COMUNE

 

  INIZIA L’ODISSEA  FRA CONFLITTI E PROMESSE

Quando fu completata la costruzione dell’ospedale nuovo del Capoluogo le aspettative dei cittadini frusinati e della Provincia erano tante. Si sperava e si credeva che il nuovo ospedale desse l’avvio ad una organizzazione sanitaria efficiente e di qualità, mettendo fine a tutti i limiti e a tutte le inefficienze che quotidianamente si registravano nel vecchio Umberto Primo , di cui erano piene le cronache. Con questa speranza, e per questi obbiettivi, si mobilitarono cittadini, associazioni ed eletti, per dare il nome all’ospedale e per richiedere la sua inaugurazione. Questi obiettivi si realizzarono fra il 2009 e il 2010 abbattendo tante resistenze, tanti dubbi e tante perplessità suscitate  della giunta regionale Marrazzo e successivamente di quella Polverini. I cittadini e le associazioni di Frosinone e Provincia, dopo qualche anno, dovettero constatare, con profonda delusione, che niente era cambiato. E tra il 2014 e 2015 si mobilitarono, con manifestazioni di piazza a Frosinone, Alatri, Cassino,  Sora, Anagni, Piglio e altrove, per impedire che i decreti della giunta Zingaretti in materia di sanità facessero scadere ulteriormente  la qualità del servizio sanitario  pubblico nella Provincia di Frosinone. L’11 settembre del 2014 cinquemila persone sfilarono con   una fiaccolata,   dalla Villa Comunale a    Piazza Martiri di Valle Rotonda.  Chiedevano  a gran voce la qualificazione a DEA di II livello dell’ospedale. I confronti aperti con la Regione Lazio, con i  sindaci della Provincia e con la Direzione Generale della ASL, su argomentazioni e proposte inoppugnabili, portarono a riconoscere, in parte, le richieste del movimento  associativo e dei cittadini. Infatti nell’atto aziendale redatto dalla Direzione Generale della ASL (Mastrobuono) è scritto che il 2015 doveva essere l’anno di preparazione organizzativa ed aggiornamento  scientifico per realizzare  nel 2016 il DEA di II livello nell’ospedale di Frosinone. Fu ancora accolta la proposta per la  realizzazione di un centro oncologico modernamente attrezzato dal punto di vista organizzativo e scientifico presso l’ospedale di Sora, ed un notevole aumento di posti letto nell’ospedale di Cassino (120). Con questo impegno i sindaci dettero il loro assenso all’atto aziendale che arrivava dopo dieci anni di gestione dilettantesca.

LO STATO DELL’ARTE OGGI FRA RIMPIANTI  E PROMESSE DISATTESE

L’attuale situazione dell’ospedale Fabrizio Spaziani ci fa rimpiangere il vecchio Umberto Primo di Viale Mazzini. Cittadinanza attiva –Tribunale del Malato esprime le sue preoccupazioni per la condizione dell’ospedale del Capoluogo che appare in preda al caos organizzativo,  all’abbandono e al degrado: la struttura attuale non è stata mai dotata di elisuperficie nonostante sia stata prevista e finanziata,   è sprovvista di un locale di ristoro  degno di questo nome, di una biblioteca e di un’edicola. All’ingresso vi è un telefono pubblico fuori uso  da anni impedendo    agli anziani e a i cittadini, che non usano il cellulare, di rapportarsi con i propri familiari e amici. Non c’è traccia di carta igienica e di sapone nei bagni dei reparti,  nelle aree  dove sostano pazienti e cittadini in attesa dell’ascensore o di altri servizi .  Segni di questo degrado e non curanza  sono più evidenti proprio nelle sale d’attesa. Qui si contano  diverse  sedie rotte e  i  bagni, quando si guastano, rimangono abbandonati a se stessi per lunghi periodi,    mentre porta sapone e porta a carta igienica fanno bella mostra di se, desolatamente vuoti. Risulta che questi furono acquistati e profumatamente pagati con denaro pubblico. Chi deve fornire la  carta igienica? E il  sapone? La Asl, o l’azienda che si è aggiudicata l’appalto per tale fornitura? Chi deve procedere alla riparazione delle sedie rotte in sala d’attesa e dei letti malfunzionanti   nei reparti, dei campanelli che non suonano? Risulta che esiste un’azienda aggiudicataria  dell’appalto per le manutenzioni e le riparazioni. Fra i suoi compiti esistono anche queste incombenze? A quanto ammonta il costo dell’appalto?  Un esempio eclatante dell’abbandono è la pavimentazione, divelta da tempo,  del piazzale antistante il pronto soccorso   con rischio di penetrazione di acqua nei locali sottostanti adibiti a  servizi sanitari fondamentali.

SOTTO IL VESTITO NIENTE

Le  potenzialità di struttura all’avanguardia dell’ospedale Spaziani  sono annullate e mortificate.  Si  costringe il personale a ritmi di lavoro insostenibili e non supportati dall’efficienza di una  strumentazione elettromedicale adeguata e prontamente disponibile . L’inefficienza organizzativa nell’uso delle apparecchiature scientifiche, e i turni di lavori massacranti a cui è sottoposto il personale sanitario, aumentano  le possibilità degli errori.  Tale condizione mette a rischio l’incolumità del paziente. Nell’anno corrente, 2018, è impensabile, dato il progresso scientifico e tecnologico, attendere un anno per  riparare un flussometro in dotazione alla UOC di urologia  e  diversi mesi per riparare un ecografo. Non parliamo dei tempi necessari al ripristino  di una macchina TAC o  per risonanza magnetica.  Eppure esiste un’impresa che si  è aggiudicata  l’appalto per la manutenzione e riparazione delle apparecchiature  in dotazione all’ospedale.             Purtroppo  quando si rompe una macchina la ditta incaricata  opera semplicemente da intermediaria con la  casa costruttrice, contrattando i prezzi d’intervento di volta in volta .  La presenza di un ente intermedio privato  che deve concordare, oltre al costo della riparazione, il proprio compenso d’intermediazione allunga i tempi di ripristino di  settimane e mesi.  La UOC di chirurgia è senza ecografo,  quella di medicina lavora con un ecografo non più a norma  e non conforme al  protocollo. Nell’ospedale Fabrizio Spaziani non esiste la possibilità di effettuare la Gastrostocopia Endoscopica Percutanea  (PEG) . In realtà  le dotazioni  per effettuare  le PEG esistevano  ad Alatri, ma dall’inizio dell’anno sono indisponibili e nessuno a provveduto a risolvere il problema.  La PEG   è  fondamentale   per la nutrizione dei pazienti  che non possono alimentarsi da soli. Giova sottolineare che tale tipologia di degenti  può essere ricoverata in   tutti i reparti. Attualmente la tecnica per procedere ad alimentare questi malati  è eseguita manualmente attraverso l’utilizzo di una siringa con cui si somministra al paziente la sostanza nutritiva  , mentre la medicina moderna mette a disposizione degli operatori     apparecchiature   all’avanguardia  dette “pompa ad infusione” Dispositivi    per lo più  sconosciuti  all’ospedale del Capoluogo, dove è anche sconosciuto un semplice spirometro , necessario al pronto soccorso, a medicina, indispensabile per le    valutazioni operatorie. Recentemente è stata inaugurata una UOC di neurochirurgia. Qui opera   il primario ma  non ci sono posti letto e non c’è ancora un equipe di chirurghi, anestesisti e personale sanitario dedicato. Il fatto rilevante è che  tali condizioni, a rigor di  legge, vieterebbero l’effettuazione di qualsiasi intervento, nonostante ciò, il primario opera ugualmente.  Dobbiamo ancora notare che per eseguire un esame di CPRE, cioè   una visualizzazione radiografica delle vie biliari, ogni lunedì viene a Frosinone un professionista retribuito per novecento euro a prestazione. Ad oggi  sembra che tale incarico esterno  sia venuto a costare 169mila euro.  Ci pare inoltre che ogni reparto, ogni unità dell’ospedale, semplice o complessa, dovrebbe essere dotata di defibrillatori, assicurati alle pareti come negli aeroporti, per permetterne interventi salvavita  tempestivi .  Non è nemmeno più concepibile che nella UOC di oculistica non sia possibile eseguire un esame di campo visivo perché manca l’operatore. Il rischio  a carico dei pazienti che si rivolgono all’ospedale Fabrizio Spaziani aumenta nelle ore notturne: 1) Un solo medico è di turno per i reparti di medicina, di malattie  infettive e di ematologia  e, se ciò non bastasse, questi può essere chiamato come consulente al pronto soccorso; 2) Un solo medico è di turno, per pediatria neonatologia, sala parto e consulenza al pronto soccorso.  Da tenere presente che  in questo reparto, in regime ordinario, lavorano solo tre medici mentre l’organico prevede otto unità. In compenso si registra il funzionamento di due reparti di pediatria, uno ad Alatri ed uno a Frosinone; 3) Un solo medico  è di turno in cardiologia e come consulente del pronto soccorso.

FUGA DAL PRONTO SOCCORSO

L’impegno assunto nell’atto aziendale  per ottenere la qualifica di  DEA di II livello è stato clamorosamente disatteso.  Oggi  dobbiamo sottolineare che l’ospedale di Frosinone è senza una qualifica perché non presenta neanche i requisiti necessari per il DEA di primo livello . Infatti manca il  reparto di emergenza, un  pronto soccorso dotato di radiologo, anestesista, ortopedico e guardia cardiologica. E’ a tutti noto il dramma che i cittadini sono costretti a vivere allorquando si rivolgono al pronto soccorso.  Lunghe ore passate su barelle di autoambulanze e, se va bene, su lettighe non adeguate, in attesa di essere presi in carico,   di una diagnosi che tarda ad arrivare, di un posto letto che non c’è .  Ciò  metta a dura prova la pazienza e il grado di sopportazione  dei cittadini tanto che il 15% di coloro che si rivolgono al pronto soccorso si allontanano frustrati, adirati e sfiduciati per l’inefficienza. Consideriamo che tale percentuale è mediamente del 7% negli altri pronto  soccorso (media nazionale)   Da notare che sono state richieste, sin dal luglio dello soccorso anno, 18 nuove barelle.  Siamo ancora in attesa del loro arrivo. Per migliorare queste criticità  sarebbe auspicabile una maggiore attenzione , una più attenta valutazione dei pazienti che necessitano di ricovero, una gestione condivisa dei ricoveri con i vari reparti, oltre che un maggior coordinamento fra   sala rossa e   sala gialla. Inoltre sarebbe fondamentale l’adozione di una Holding Area, un spazio per i pazienti verso  i quali è già stato predisposto il ricovero ma non è ancora disponibile il posto letto.

COSTOSI DOPPIONI  E SOVRAPPOSIZIONI DI SERVIZI

La Regione Lazio, con l’obiettivo di alleggerire il dramma dei pronto soccorso, ha organizzato il servizio degli ambulatori festivi detti “Ambufest”. Tali strutture sono attive solo nei giorni  festivi e lavorano per sei ore, senza turni  notturni. A nostro parere essi sono solo una perdita di denaro perché nei giorni prefestivi e festivi si sovrappone il servizio di    guardia medica,  attiva   12 ore per contratto nazionale, che effettua anche  i turni notturni con l’obbligo di visite interne ed esterne. La direzione generale della Asl di Frosinone per incrementare l’attività degli “Ambufest” ha licenziato una delibera che obbliga i medici della guardia medica a dirottare i pazienti presso l’Ambufest per le visite interne, beninteso per le sole sei ore di attività..  In aiuto del pronto soccorso è  stato predisposto  un servizio, gestito  dai medici di famiglia,  finalizzato al trattamento dei  pazienti con codici verdi, ma  attivo solo di giorno. Il Capolavoro arriva quando si  è stabilito che alla coordinatrice delle attività ambulatoriali, gestite dai medici di famiglia,  è corrisposto un compenso di circa duemila euro al mese. I  medici di famiglia,   come è noto, sono già remunerati e  molti di essi sono   impegnati in attività ambulatoriali specialistiche private . Perché ancora una volta si è operato per un cumolo eccesivo di incarichi? Non sarebbe stato più opportuno e giusto rivolgersi ai giovani medici disoccupati?

MOBILITA’ PASSIVA EXTRA REGIONALE.

L’impatto negativo che si  ha con il pronto soccorso, e l’odissea che ne  segue, crea un clima diffuso di sfiducia nella struttura ospedaliera del Capoluogo, tanto da spingere i nostri residenti a rivolgersi a strutture sanitarie pubbliche, o convenzionate, situate fuori regione  per una perdita  di  trentotto milioni  di euro l’anno in  mobilità passiva extraregionale  (dato 2016) , dato raddoppiato rispetto al 2000. Il 70% delle persone che si rivolgono ad   Asl fuori regione si indirizzano: verso l’Abruzzo (38,55%),  il Molise (18,06% ), la Campania (12,49%) . Naturalmente  il maggior numero  di  pazienti che si trasferiscono verso queste strutture fanno parte del distretto C e D, (Sora  Cassino) quello geograficamente più vicino. E’ interessante osservare le patologie per cui ci si appresta ad emigrare fuori regione.

La più elevata frequenza di fuga verso l’Abruzzo riguarda: la sostituzione di articolazioni maggiori o reimpianto degli arti inferiori, la calcolosi urinaria e la litotripsia mediante ultrasuoni, interventi su utero e annessi non per neoplasia maligna.

La maggiore frequenza di fuga verso il Molise è relativa : Alle malattie del sistema nervoso (degenerative e non), interventi su dorso e collo , malattie e traumatismi del midollo spinale.

La maggior frequenza di fuga verso la Campania concerne: Parto cesareo senza CC,   interventi all’utero non per neoplasia maligna, parto vaginale senza diagnosi complicanti.

Alcune riflessioni s’impongono. L’efficienza del complesso Neuromed di Pozzilli è nota.  Un centro all’avanguardia per la cura delle malattie  degenerative del sistema nervoso, per cui una  migrazione in Molise  può essere giustificabile ( anche se un DEA di II livello, quale avrebbe dovuto essere, secondo le promesse, lo Spaziani, avrebbe avuto  tutte le potenzialità per trattare queste malattie) ,  ma perché   andare in Abruzzo per curare  patologie urologiche  semplici e, soprattutto, perché  andare a partorire in Campania?  Possibile che nella nostra Asl, e in particolare e nei dei distretti C e D, Cassino – Sora,   sia così rischioso partorire?  Urologia e ginecologia non sono branche  così complesse.  Come è possibile che la nostra provincia non sia in grado di limitare la mobilità passiva per  trattamenti   così semplici?  Ribadiamo ancora una volta  che la mobilità passiva per il 2016 ha prodotto un passivo  per la Asl di circa 38 milioni di euro. Uno spreco enorme.  Al momento non conosciamo i dati relativi alla mobilità passiva intra-regionale.

CARESTIA DI  POSTI LETTO

Con la chiusura dell’ospedale di Anagni, e con l’unificazione in un unico presidio ospedaliero di quello di Alatri con Frosinone, l’intera popolazione del centro nord è costretta a rivolgersi  all’unico ospedale esistente, quello del Capoluogo. Nella zona centro-nord esistono due distretti sanitari al servizio di   una popolazione di  circa trecentomila cittadini. A rigor di legge dovrebbero essere  nella disponibilità dei pazienti    novecento posti letto (3 per 1000). Il presidio ospedaliero Frosinone-Alatri conta  424 posti letto in regime di ricovero ordinario,   26 in day hospital e 15   post acuzie, per un totale di 465.  Registriamo cioè un vuoto di 435 posti letto causa prima di tutti i drammi che vive la struttura di pronto soccorso e non solo. Tale mancanza potrebbe essere in parte  risolta  attraverso una oculata gestione del rapporto fra ricoveri e dimissioni. A questo è dedicata l’attività di “Bed Management” . L’obbiettivo del “Bed Manager” è quello di razionalizzare la durata della degenza, in modo da impegnare il meno possibile un posto letto che, ricordiamo, costa alla collettività mille euro al giorno. Per fare ciò è necessario gestire ricoveri e dimissioni in modo che un paziente rimanga in ospedale per il tempo strettamente necessario alla cura  della propria patologia. E’ essenziale quindi,come detto,  monitorare il rapporto fra ricoveri e dimissioni . Nelle varie aree ospedaliere  (Area Medica, Cardiologia , Chirurgia Generale Ortopedia, Altra Chirurgia Specialistica, Area Critica) nel 2017 la media giornaliera di ricoveri (29,3) equivale al numero delle dimissioni  (29,2). Ciò  significa che il numero dei degenti  è rimasto sostanzialmente costante. Un risultato ottimale sarebbe stata la diminuzione dei posti letto occupati, ma tutto sommato il dato ottenuto   è discreto. Se  andiamo ad analizzare i primi tre mesi del 2018 invece  si rileva che per le stesse aree citate la media di ricoveri giornalieri è di 27, ma quella delle dimissioni è di 26. In sostanza per  ogni giorno è stato occupato un posto letto in più  . Cioè il numero di degenti anziché rimanere costante aumenta di una unità giornaliera. Inoltre  3 dimissioni in meno rispetto al  2017 (26 contro 29) corrispondono ad un numero di giornate di degenza pari a 1095 nella proiezione annuale  che, moltiplicato il costo unitario del  ricovero pro die, danno la misura  dell’ingente  danno economico. Contribuisce alla diminuzione del numero di dimissioni l’attesa eccessiva per l’esecuzione di alcuni esami diagnostici (RMN, Holter cardiaco, ecografia addome ed ecocardio) che in alcuni casi costringono ad un prolungamento della degenza. Inoltre nei giorni  festivi, nei reparti di area medica, non viene effettuata attività di dimissione per carenza di personale medico.  Ancora più grave e disarmante  è la  conseguenza di un atto programmatico strutturale, pianificato lo scorso anno  per    aumentare il numero di dimissioni, che invece ha prodotto l’effetto contrario  . Nel 2017 è stata creata un’”area di degenza indistinta” con lo scopo di incrementare i posti letto a disposizione del pronto soccorso e ridurre così i pazienti in destinazione ricovero. In realtà quest’area è finita per gravare sul reparto di medicina. Per  la carenza di personale medico  gli operatori sanitari di medicina, oltre a dover curare i malati della propria UOC ,  hanno dovuto occuparsi anche dei ricoverati nell’area di degenza indistinta, togliendo tempo all’attività di reparto, con il conseguente rallentamento delle operazioni di dimissioni, e l’inevitabile  diminuzione del loro numero. Azioni realmente  utili per velocizzare le dimissioni non sono state messe in atto . In questo senso sarebbe  fondamentale l’attivazione di una Discharge Room. Un area, cioè, dove i pazienti in dimissione possono sostare in attesa di ricevere la documentazione e la terapia necessaria, liberando il letto per nuovi ricoveri. Il servizio, in realtà, è stato attivato in via sperimentale ma subito interrotto per la scarsa collaborazione dei reparti di degenza, in particolare di medicina.   Ciò che emerge da questa analisi  è una carenza organizzativa di fondo, con inspiegabili problemi di comunicazione e coordinamento fra reparto e reparto, fra pronto soccorso e reparto.  A questo si aggiunge una carenza di personale medico  e paramedico, un improvvido utilizzo delle dotazioni diagnostiche, già insufficienti e poco efficienti . Tutto ciò nonostante  il fatto che per la gestione dei posti letto si utilizzano software moderni come  l’applicazione Arianna ADT.

CARENZA DI SALE OPERATORIE

La mancanza di posti letto, inoltre, è  appesantita dallo scarso utilizzo del blocco operatorio composto da 7  sale. Due al primo piano, originariamente attrezzate per il reparto di cardiochirurgia, oggi completamente inutilizzate, 5 utilizzate a scartamento ridotto per la mancanza di anestesisti, ivi compresa la sala operatoria del blocco parto. Da sottolineare che le sale operatorie non sono dotate di amplificatore di brillanza . Per un periodo di tempo si è usato quello in dotazione alla unità di emodinamica, ma ben presto anch’esso  è andato fuori uso, allora si è preso in prestito quello della UOC di endoscopia digestiva.  I tempi degli interventi chirurgici programmati sono lunghi, per questo motivo  la gente si rivolge altrove e ciò  abbassa il valore qualitativo della terapia chirurgica . Per  un’operazione di cataratta occorrono  9 mesi a Frosinone,   dieci giorni  a Sora. In presenza di  un unico dirigente responsabile  della  UOC di Sora e di  Frosinone, perché  si redigono  due liste separate? Non sarebbe più opportuno, adottare  una lista unica  funzionale alla riduzione dei     tempi di attesa?  La UOSD di oculistica è attiva  solo la mattina,  mentre nel pomeriggio rimane in servizio un solo medico fino alle 20,00.  Al di fuori dell’orario mattutino per trattare patologie oculistiche gravi è necessario rivolgersi al DEA di riferimento, cioè all’Umberto Primo di Roma.

EUTANSIA DELLA SANITA’ PUBBLICA.

Questo primo breve quadro di notizie pervenuteci  e acquisite  in poco tempo d’indagini, tanto da non poter escludere carenze  ed imprecisioni ,  dimostra come,   in  questi anni, si sia  lavorato al solo ed unico scopo di favorire la  sanità privata.  Essa  ormai  è preminente anche in questa provincia con l’espletamento  del 50% delle attività. In tal senso si  sono appaltati a privati  i servizi di 118 ,  manutenzione, lavanderia,  prenotazione (CUP) , vigilanza in portineria (esclusa la mattina),  lungodegenza ,   assistenza domiciliare – con la riduzione ai minimi termini  di attività e di personale  del CAD – ,  hospice -la cui unica struttura pubblica di Isola Liri dispone solo di sei posti, dirottando il resto dei pazienti presso la struttura privata di Cassino (San Raffaele) – Non si può tacere il fatto che gli appalti e i subappalti sono un sistema di  arricchimento facile per e le imprese e di sfruttamento bestiale per i lavoratori . Anche il servizio di riabilitazione, ormai, è  quasi totalmente ad appannaggio dei  privati: ad esempio, il linfodrenaggio, necessario ai pazienti che hanno problemi cronici di gonfiore agli arti, è praticato nella struttura pubblica della Asl solo da due o tre operatori su dieci. Da qui le lunghe liste di attesa e la necessità di rivolgersi al privato. Perché non organizzare corsi di formazione per tutti gli operatori?  Ormai anche  il  settore di riabilitazione intensiva post-acuti è in mano al privato accreditato attraverso strutture come  la Città Bianca ed il San Raffaele, mentre per la riabilitazione estensiva esistono nove presidi ambulatoriali aziendali . Per quanto riguarda la riabilitazione infantile la Asl  fa solo valutazioni , tutto il resto è nelle mani del privato.  La sanità privata la fa da padrona senza alcun controllo circa l’appropriatezza delle prestazione, del  periodo di degenza e quanto altro.

 

UN MANAGEMENT DISASTROSO

Il quadro enunciato evidenzia la mancanza di organizzazione e di coordinamento delle attività ospedaliere, nonché  di comunicazione ed informazione tra le diverse unità operative complesse. Tale situazione , e la mancanza di primari nominati a seguito di concorso pubblico,  costringe  i pazienti a permanere nei reparti per un periodo eccessivo, comportando la notevole   lievitazione dei  costi di cura e degenza. Talvolta, e abbiamo tanti esempi  in merito, sono occorsi 15 giorni di degenza per eseguire una TAC, un ecodoppler, un elettrocardiogramma ed altri esami necessari. E’ chiaro che, se in un reparto vengono nominati dirigenti responsabili ,   per brevi periodi, secondo le direttive   dell’art.18, le difficoltà di organizzazione sono inevitabili ed è inevitabile la conflittualità fra il personale. Infatti, inspiegabilmente, lo stesso  medico viene ad essere   collocato, per un periodo in funzione dirigente e successivamente in ruolo subordinato . Nella  UOC di radiologia sono stati nominati nel giro di due anni 4 primari. Alla direzione sanitaria dell’ospedale Fabrizio Spaziani, in  48 ore hanno ricevuto l’incarico  due direttori sanitari, uno in sostituzione dell’altro. Nella UOC di ematologia, a seguito di concorso, è stato regolarmente assunto un nuovo primario per rafforzare e sviluppare le attività competenti. Si registra, però, che  il medico incaricato effettua  la sua attività in minima parte a Frosinone (due o tre giorni di presenza settimanale) mentre è molto impegnato nelle attività romane. E’ sintomo di efficienza e razionalità attribuire doppio e tripli incarichi dirigenziali alla stessa persona? Come è possibile che un unico dirigente possa avere più incarichi di alto livello? Non si rischia la dequalificazione del ruolo dirigenziale e delle attività prodotte? Non è  un caso, infatti, che l’attribuzione di incarichi così concepita comporti  uno spreco enorme di denaro  che si tenta di recuperare non distribuendo la carta igienica e non somministrando l’acqua nel vitto serale  ai degenti. Vitto che per esperienza personale e per valutazione dei pazienti, è di scarsa qualità.

LA CHIMERA DELLA SANITA’ VICINO AI CITTADINI

A seguito della  chiusura degli ospedali, deliberati   della giunta Polverini, era stato promesso  un incremento del livello qualitativo   delle strutture rimanenti, e si aggiungeva inoltre  che, per evitare l’affollamento dei pronto soccorso,   sarebbe stata potenziata la organizzazione dei servizi territoriali. Nella nostra provincia il concetto di medicina di prossimità  fu  ripreso e sviluppato ulteriormente nell’atto aziendale redatto  dalla D.ssa Mastrobuono e nei decreti adottati della giunta Zingaretti.   Nulla in questo senso si è mai realizzato.  I  servizi territoriali ambulatoriali pubblici sono andati sempre più scandendo e i tempi d’attesa sempre più allungandosi. Tanto è vero che la giunta Zingaretti ha trascurato di abolire quella norma approvata dalla giunta regionale della Poverini che vietava di effettuare prenotazioni per visite ambulatoriali specialistiche  oltre   un anno. Il CUP non prenota più. Sarebbe opportuno e necessario capire, dalle statistiche  dagli studi della Asl, la differenza fra visite prenotate e quelle effettivamente effettuate dagli specialisti, e i relativi costi.  Talvolta si è constatato la scarsa affluenza dei pazienti prenotati presso gli ambulatori. Per avere questi chiarimenti  siamo in attesa di un incontro, richiesto da tempo, con la direzione generale della Asl. Tempi  e organizzazione sono inaccettabili, alcuni esempi:  ecografie -tutte ad un anno,  risonanza magnetica – solo nei centri privati accreditati,  uroflussometria  – a fine anno solo ad  Anagni e Pontecorvo, ecocolordoppler vasi epicentrici – un anno, ecocolordoppler arti inferioni –  un anno,  visite oculistiche – novembre-dicembre, ecocolordoppler cardiaco – febbraio 2019,  colon scopia, gastro scopia – un anno. Aggiungiamo che un semplice esame di holter cardiaco e holter pressorio richiede  tempi egualmente lunghi. Eppure un apparecchio per tale esame costa circa mille euro.

SVILUPPO DELLA MEDICINA SOCIALE

Con  una organizzazione diversa i tempi di attesa potrebbero essere abbattuti di molto. Le attività diagnostiche offerte  nel corso  delle notti bianche per la difesa della sanità pubblica, organizzate  dall’associazionismo volontario ad Alatri a Sora e altrove, hanno  dimostrato che, con il contributo della protezione civile e con una organizzazione coordinata fra  Asl e associazionismo,  i tempi di attesa potrebbero essere abbattuti e portati a zero nel corso di due o tre mesi. Sarebbe sufficiente organizzare delle giornate di medicina sociale partecipata e condivisa nei centri maggiori della Provincia  chiamando a collaborare medici in pensione, medici volontari, sia dipendenti della Asl, che liberi professionisti, che disoccupati. Manifestazioni di questa natura, oltre che all’abbattimento dei tempi di attesa. potrebbero restituire ai cittadini quella fiducia nella sanità pubblica e nelle sue strutture oggi completamente compromessa. Le associazioni sono pronte a dare il massimo del loro contributo di impegno e di proposta per realizzare iniziative e confronti con i cittadini, allo scopo di restituire credibilità alla  sanità pubblica e ripristinare quel rapporto umano fra personale sanitario e cittadino paziente indispensabile al buon funzionamento delle strutture, rapporto oggi offuscato, che sovente suscita rabbia,   protesta e rivolta,  nei    pazienti e nei loro parenti . Purtroppo tale volontà, sempre espressa con forza anche nel passato, è stata egualmente sempre respinta e percepita come un intralcio all’organizzazione e al funzionamento della sanità pubblica.

IPOTESI DI UN’ORGANIZZAZIONE SANITARIA DEMOCRATICA E PARTECIPATA

 

E’ possibile oggi imprimere una svolta  incisiva nel miglioramento del rapporto fra dirigenza Asl,   cittadini e associazioni? E, rispetto al quadro enunciato, quali iniziative intendono mettere in atto i consiglieri regionali, i sindaci ed i consiglieri comunali per uscire da questa emergenza? A parere delle associazioni il nucleo fondamentale per una organizzazione moderna efficiente e di qualità, per l’intera provincia,  dovrebbe partire dalle strutture disposte  lungo l’asse Ceccano-Frosinone-Alatri. Su tali strutture potrebbe e dovrebbe partire oggi un progetto all’avanguardia di organizzazione sanitaria, territoriale ed ospedaliera, con un protagonismo nuovo dei cittadini e dell’associazionismo,  con l’avvio  di una apertura culturale e politica, da parte della dirigenza Asl, la quale,  oltre ad alimentare il confronto con i cittadini e le Associazione,  dovrebbe  promuovere  una partecipazione attiva dei cittadini alla realizzazione di una sanità in grado di soddisfare i bisogni del territorio. A questo proposito vogliamo rammentare l’emergenza sanitaria  derivante  da un inquinamento atmosferico, territoriale e delle acque che ha portato il nostro territorio all’apice delle classifiche nazionali. Tale emergenza  necessita di un’urgente presa di posizione  da parte di tutti gli attori in gioco: Istituzioni, operatori sanitari, associazioni e cittadini. La partecipazione   del mondo associativo  e dei cittadini costituisce  un elemento determinante per la ripresa e il rilancio dell’intera provincia . Sarebbe inoltre un valore insostituibile per promuovere la trasparenza e la fiducia nella sanità pubblica e nelle istituzioni,  per un decisivo miglioramento qualitativo dei livelli di vita dell’intera collettività .