Metamorfosi e attraversamenti

14 giugno 2020: è bastato che la TAV Roma-Napoli per la prima volta attraversasse e si fermasse a Frosinone, 40 minuti dopo la partenza da Roma, per far alzare il canto delle preghiere degli apostoli della modernità in cerca di un nuovo santino dopo l’appassirsi dello sviluppo industriale propagandato come cambio di paradigma della vita dei cittadini locali avviati, senza ripensamenti, verso una felice metamorfosi.

L’attraversamento, quello sì, veloce, fugace e non radicato dell’industrializzazione che ha depauperato le economie territoriali sull’altare dello sviluppo, che ha appiattito le identità dei luoghi; che ha spopolato le comunità; che ha inquinato intere valli è la fotografia invece di una metamorfosi mancata all’interno di un modello di sviluppo pieno di falle, per non dire mancante.

Abbaglia l’”attraversamento dei flussi”: «Non è tanto la fermata in sé ad essere importante quanto la necessità diintegrarsi con l’ecosistema a creare valore»… disperata nenia dello sviluppo senza aggettivi prima della consegna delle macerie ciociare all’archeologia.  La venuta di una metamorfosi però non si fermerà alla stazione di Frosinone. L’era dell’industrializzazione non ha prodotto le condizioni di una nuova economia legata al territorio, nemmeno un collegamento delle reti, nemmeno una concentrazione di attività specialistiche da barattare nel mercato globale. Insomma non ci sono le basi di una possibile metamorfosi nel  capitalismo “in-finito” che non ha bisogno dei territori strizzati.

La rivoluzione antropologica determinata dalla crisi è la perdita, il vuoto. La Ciociaria non è una parte della Lombardia nel quale l’attraversamento dei flussi porta metamorfosi così come invece Bonomi descrive nel paradigma lombardo. Ma questo per il ns territorio è un limite o punto di ripartenza?  L’identità si perde ma non se ne acquista di nuova, negativa o oltremodo proiettata sul versante mondializzato. Quindi rimane una radice pur flebile di memoria e una di pratiche da riconquistare.

Si ha spazio per ridefinire il modello produttivo, per ridefinire il rapporto con la terziarizzazione, per instaurare connessioni con le piattaforme agricole.  C’è bisogno, con uno studio che ancora non appartiene compiutamente al territorio, di descrivere ciò che si presenta come opportunità piuttosto che come sciagura: conoscere i luoghi e l’antropologia che li caratterizza; conoscere i flussi e gli attori, mettersi in mezzo ai processi e fare comunità. E’ questo il lavoro preliminare da fare.

Nel tempo della industrializzazione le risorse accumulate della comunità sono state a tutto vantaggio dell’individuo – particolarmente di una classe sociale. Oggi forse sarebbe il caso di ripensare che comunità e generazioni future hanno lo stessa importanza. Se il benessere deve essere ricomposizione economica e sociale per tutti, allora nell’ambito di una metamorfosi possibile, che non ‘scende’ dall’attraversamento del treno della modernità, potremmo senza aver timore di una recessione drammatica, già tra l’altro in atto, ridefinire il rapporto tra città/contado e mondo rurale che nel tempo è stato il magazzino di risorse fisiche e intellettuali dove lo sviluppo industriale ha attinto e, alla sua distruzione, è paracadutato. Una economia della separazione – separazione soprattutto dalle sirene dello sviluppo-, che riavvicini il rapporto produzione/riproduzione, con la rivalorizzazione del lavoro contadino e artigianale in una economia tendenzialmente a km 0, sullo sfondo di una green economy che sleghi i beni comuni dalla loro finanziarizzazione, che ricostituisca legami sociali e comunità solidali è l’unica metamorfosi possibile.